COMUNIONE E CONDOMINIO - Cass. civ. Sez. I Ord., 12-03-2018, n. 5900

COMUNIONE E CONDOMINIO - Cass. civ. Sez. I Ord., 12-03-2018, n. 5900

Poiché, in caso di esproprio di un'area condominiale, la comunione che prima esisteva riguardo al bene si converte nella comunione sull'indennità, ogni questione afferente alla sua gestione non esula dalla competenza che in linea generale il legislatore del condominio ha inteso attribuire alla comunità dei condomini riuniti in assemblea riguardo la gestione dei beni comuni. Donde, perciò, a caduta la legittimità di una deliberazione maggioritaria che decide di intraprendere la lite relativa alla sua determinazione e la legittimatio ad processum che compete perciò al suo amministratore.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco - Presidente -

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. - Consigliere -

Dott. VALITUTTI Antonio - Consigliere -

Dott. MARULLI Marco - rel. Consigliere -

Dott. TRICOMI Laura - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16119/2013 proposto da:

Condominio di (OMISSIS), in persona dell'Amministratore pro tempore, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall'avvocato Astorri Raffaello, giusta procura in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

Comune di Figline Valdarno;

- intimato -

e contro

Comune di Figline Valdarno, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Corso V. Emanuele n. 18, presso lo studio dell'avvocato Iaria Domenico (Studio Legale Lessona), che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale - contro

Condominio di (OMISSIS);

- intimato -

avverso la sentenza n. 15/2013 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 08/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/11/2017 dal cons. MARULLI MARCO.

Svolgimento del processo

1. La Corte d'Appello di Firenze con sentenza n. 15 dell'8.1.2013 ha respinto la domanda introdotta a mezzo del suo amministratore dal Condominio di (OMISSIS) nei confronti del Comune omonimo, intesa a conseguire, in relazione al subito esproprio di un'area di propria appartenenza ai fini della realizzazione di una rotatoria stradale, le indennità dovute in base alle disposizioni di legge.

A motivo del rigetto il decidente ha sostenuto, in adesione all'eccezione opposta dal Comune, che l'amministratore del Condominio attore difettasse nell'occasione di autonoma legittimazione processuale, e ciò perchè, da un lato, non poteva giudicarsi a tal fine bastevole la deliberazione in data 5.12.2008 adottata dal Condominio a maggioranza, trattandosi di vertenza che fuoriusciva dall'ordinaria gestione dei beni comuni ed imponendosi perciò una delibera adottata dall'unanimità di tutti i condomini, in difetto del che quella richiamata andava conseguentemente ritenuta nulla; e dall'altro, perchè risultava inconferente il richiamo alla legittimazione dell'amministratore ex art. 1130 c.c., comma 1, n. 4, in relazione agli atti conservativi inerenti le parti comuni degli edifici, in quanto, trasferendosi il diritto reale dal bene all'indennità, difettava nella specie l'oggetto della proprietà immobiliare comune, sostituito dalla comunione sull'indennità pecuniaria.

Avverso detta decisione ricorre a questa Corte il Condominio soccombente sulla base di due motivi, ai quali replica il Comune con controricorso e ricorso incidentale con un solo motivo.

Motivi della decisione

2.1. Con il primo motivo di ricorso il condominio ricorrente censura la determinazione adottata dal decidente in ordine alla legittimazione dell'amministratore, denegata sul presupposto che l'azione proposta non rientrerebbe tra le attribuzioni riconosciutegli ex lege, quantunque egli sia legittimato dall'art. 1130 c.c., comma 1, n. 4, al compimento degli atti conservativi inerenti le parti comuni e non si dubiti che possa agire a difesa di esse anche in via risarcitoria e possa perciò valersi di una tutela "equiparabile sotto il profilo della legitimatio ad causam, all'opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione di un bene condominiale".

2.2. Con il secondo motivo di ricorso il condominio si duole che il decidente abbia ravvisato la nullità della citata deliberazione condominiale 5.12.2008 dichiarata sul presupposto che l'azione proposta sarebbe estranea alle attribuzioni dell'assemblea condominiale, avendo ad oggetto la tutela di un diritto autonomo ed individuale di ciascun condomino, e ciò malgrado prima che la stima divenga definitiva e ne sia disposto lo svincolo in favore di ciascun avente diritto la comunione permanga sull'indennità e la decisione di chiedere la stima giudiziale dell'indennizzo de quo costituisca un evidente "atto di gestione di un unitario bene comune, che, in quanto tale rientra nelle attribuzioni dell'assemblea dei condomini".

2.3. Parallelamente, nel controricorso, il Comune fa valere l'eccezione secondo cui, esulando la vicenda de qua dalle attribuzioni proprie tanto dell'amministratore quanto dell'assemblea, il ricorso del condominio a questa Corte risulterebbe inammissibile, poichè afferendo la sottesa domanda al "contenuto del diritto reale e al correlativo diritto potestativo di agire in giudizio di ogni singolo condomino e non alla mera gestione ordinaria ed al compimento degli atti conservativi della cosa comune", ai fini del suo promovimento non basta una delibera condominiale adottata a maggioranza, ma occorre il consenso unanime di tutti i condomini.

3.1. Esaminando congiuntamente, in ragione del loro stretto legame, le questioni che le parti sottopongono al giudizio di questa Corte, va detto, come si è fatto cenno nella premessa narrativa di fatto, che il nucleo motivazionale che sorregge l'impugnata decisione si fregia di una duplicità di argomenti che, ove si volessero ricondurre al metro di una corretta sequenza logica rispettosa dell'ordine imposto dal diritto scritto, andrebbero esaminati con un ordine diverso da quello che ha portato la Corte fiorentina ad affermare che l'opposizione alla stima dell'indennità di esproprio, quando oggetto di esso sia un bene condominiale, non possa essere proposta dall'amministratore di esso nè in forza di una deliberazione maggioritaria dell'assemblea, posto che non si tratta di un atto di ordinaria gestione condominiale in relazione al quale possa riconoscersi una competenza deliberativa dell'organo assembleare e non si renda, invece, necessaria la manifestazione dell'unanime consenso di tutti i partecipanti al comunione, nè, tantomeno, motu proprio, in quanto estranea alle attribuzioni riconosciutegli dall'art. 1130 c.c. e, segnatamente, al potere di compiere gli atti conservativi a tutela dei beni comuni.

E tuttavia dovendo prendere le mosse per effetto della dispiegata eccezione di inammissibilità dalla prima di dette questioni - tanto il ricorrente che il controricorrente si interrogano da opposte sponde, sollecitando ovviamente risposte discordi, se l'amministratore del condominio possa chiedere la determinazione giudiziale dell'indennità di esproprio ovvero se possa ricorrerere per cassazione avverso la decisione che ne rigetti la domanda in forza di una deliberazione assembleare maggioritaria - è opinione del collegio che il convincimento espresso su di essa dal giudice gravato non meriti condivisione e che per questo pure la sollevata eccezione di parte convenuta si riveli infondata.

3.2. A conforto di quanto si intende qui affermare è bene porre mente in principio al fatto che la questione in esame si colloca al centro di un reticolo normativo che, nell'assetto impresso dal codice civile alla distribuzione dei poteri interni al condominio - non mutato dal legislatore della riforma del 2012, che in qualche caso l'ho anche rafforzato, - conduce ad individuare senza riserve di sorta - come del resto non dubita neppure lo stesso decidente, pur prendendo le distanze dalle regole che ne governano il funzionamento nell'assemblea dei condomini l'organo che, in quanto provvisto di una competenza decisoria a carattere generale nella gestione dei beni facenti parte del patrimonio comune, gode pure di una corrispondente potestà deliberativa in ordine all'assunzione delle liti processuali che li riguardino. Tanto, infatti, l'art. 1131 c.c., comma 1, laddove prevede che "nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'art. precedente o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi.", quanto l'art. 1136 c.c., comma 4, secondo cui "le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell'amministratore o le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell'amministratore medesimo, le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell'edificio riparazioni straordinarie di notevole entità e le deliberazioni di cui all'art. 1117-quater, art. 1120, comma 2, art. 1122-ter nonchè art. 1135, comma 3, devono essere sempre approvate con la maggioranza stabilita dal comma 2 presente articolo" si orientano concordemente in questa direzione e nello stesso modo rimarcano il ruolo primario che nell'organizzazione del condomino assolve l'organo assembleare quale finale depositario del potere deliberativo che ad esso compete, ben oltre lo steccato apparentemente limitativo dell'art. 1135 c.c., in materia di gestione dei beni comuni.

3.3. Può forse apparire enfatico che in questa cornice con formula antica, ma indiscutibilmente efficace si continui a dipingere l'assemblea "quale organo sovrano della volontà dei condomini" (Cass., Sez. 2, 20/06/2012, n. 10199), ma ciò aiuta a comprendere che nell'assetto attuale il modo attraverso il quale si attua la partecipazione del singolo alle decisioni comuni segue elettivamente la via assembleare. La collegialità che è insita nell'adozione del metodo assembleare e che presuppone che tutti i condomini siano posti in condizione di esprimere, mediante il voto, il loro giudizio in ordine agli affari comuni non può tuttavia restare prigioniera del volere del singolo, onde in questo disegno, che intende evitare che la dialettica assembleare si risolva in danno di un'efficiente gestione dei beni comuni, la regolazione dell'attività deliberativa dell'assemblea in base al principio maggioritario diviene non solo scelta ordinaria, ma scelta pure obbligata. "Le attribuzioni dell'assemblea condominiale riguardano l'intera gestione delle cose, dei servizi e degli impianti comuni, che avviene in modo dinamico e che non potrebbe essere soddisfatta dal modello della autonomia negoziale, in quanto la volontà contraria di un solo partecipante sarebbe sufficiente ad impedire ogni decisione" si legge abitualmente nella giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. 2, 11/01/2012, n. 144), che, non a caso confina le decisioni che richiedono il consenso unanime di tutti i partecipanti agli atti dispositivi dei beni comuni (Cass., Sez. 2, 14/06/2013, n. 15024) o agli atti che incidano sui loro diritti di partecipazione (Cass., Sez. 2, 4/12/2013, n. 27233) o che modificano le regole di funzionamento interno di fonte negoziale (Cass., Sez. U, 30/12/1999, n. 943).

4.1. Posti perciò questi iniziali paletti (centralità dell'assemblea nell'organizzazione del condominio; adozione del principio maggioritario quale regola deliberativa ordinaria; residualità del consenso unanime) vien facile scorgere l'errore - e perfino la contraddizione - che vizia il ragionamento in diritto del giudice gravato e che, ove fosse portato alle sue estreme conseguenze, sortirebbe a dir poco esiti addirittura paradossali. Se fosse infatti credibile che in relazione ad una vicenda quale quella oggi in giudizio l'amministratore del condominio, onde opporsi alla stima delle indennità dovute, necessitasse del consenso unanime dei singoli condomini e non potesse agire in base ad una deliberazione maggioritaria, l'effetto sarebbe che basterebbe il dissenso anche di un solo condomino per rendere inoppugnabile la stima e ad obbligare il condominio ad accettare una indennità in ipotesi anche irrisoria.

4.2. Ma la tesi fatta propria dal decidente, logicamente opinabile, non si regge neppure in diritto.

A parte la considerazione che la preoccupazione di salvaguardare l'autonomia decisionale del singolo condomino in materia di liti condominiali ("deve essere riservata a ciascun condomino la scelta se promuovere o meno il giudizio riguardante la quantificazione dei proprio indennizzo in modo difforme da quanto stabilito dall'autorità" scrive il decidente) non trova, più generalmente, risposta nella necessità che le deliberazioni relative siano adottate con il consenso unanime di tutti, ma nella disciplina della separazione delle responsabilità in ordine alle conseguenze negative della lite di cui è espressione l'art. 1132 c.c., la Corte fiorentina, che pur non trascura di riconoscere - ancorchè negandone la ricorrenza nella specie ("nella presente vicenda non vi è più alcun immobile condominiale da gestire") - che la competenza assembleare attenga segnatamente alla gestione dei beni comuni, omette tuttavia di trarre dal precedente di questa Corte (Cass., Sez. 7, 24/03/2011, n. 6873), pure da essa citato, tutte le conseguenze di cui questo si mostra foriero con riguardo alla specie in giudizio, errore tanto più censurabile quanto più si riflette che è la stessa Corte fiorentina a precisare che intervenuta la determinazione dell'indennità i diritti reali dei singoli condomini sull'area espropriata "si sono trasferiti dal bene al denaro, ferma restando la comunione tra i compartecipi sino al momento della successiva suddivisione in quote".

4.3. Giova allora ribadire che, come si ritenne nell'occasione riferita, questa Corte ebbe modo di sostenere che "il decreto di espropriazione per pubblica utilità incide sull'oggetto ma non sulla natura del diritto espropriato e, pertanto, il diritto reale degli espropriati si trasferisce sulla somma di cui è previsto il deposito prima che venga emesso il decreto. Ove si versi nell'ipotesi di comproprietà indivisa del bene, la comunione permane sull'indennità fino al momento in cui questa sarà divenuta definitiva e ne sarà disposto lo svincolo dall'autorità giudiziaria, sulla base dell'accordo delle parti o in ragione dei diritti degli espropriati". E' pacifico, dunque, alla stregua di questo precedente, che sino a che la stima non divenga definitiva e ne sia disposto lo svincolo, la comunione che prima esisteva riguardo al bene si converte nella comunione sull'indennità che non cessa per questo di essere bene comune a tutti i suoi partecipanti. E va da sè allora che, diversamente dall'assunto che ne ha tratto il giudice territoriale, incorrendo in tal modo in una vistosa contraddizione giuridica, che se l'indennità è comune, ogni questione afferente alla sua gestione non esula dalla competenza che in linea generale il legislatore del condominio ha inteso attribuire alla comunità dei condomini riuniti in assemblea riguardo la gestione dei beni comuni. Donde, perciò, a caduta la legittimità di una deliberazione maggioritaria - essendo questa la ragola ordinaria, cui soggiace l'adozione delle delibere in materia di beni comuni - che decide di intraprendere la lite relativa alla sua determinazione e la legittimatio ad processum che compete perciò al suo amministratore - costui essendo l'organo di rappresentanza della comunità condominiale - che di ciò venga officiato, anche solo implicitamente, mediante la designazione del legale incaricato di assisterlo.

5. Cadono in tal modo le contrarie determinazioni enunciate dal giudice d'appello e viene, perciò, anche meno l'eccezione opposta dal controricorrente circa la legittimazione dell'amministratore del condominio ricorrente a promuovere l'odierno giudizio.

6. Accogliendosi, dunque, il ricorso come sopra, la sentenza impugnata andrà conseguentemente cassata, con assorbimento di ogni altra doglianza anche di parte controricorrente e la causa andrà rinviata al giudice a quo che avrà cura nel nuovo giudizio di uniformarsi ai principi di diritti qui affermati, procedendo altresì alla regolazione delle spese pure del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa l'impugnata sentenza e rinvia la causa avanti alla Corte d'Appello di Firenze che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 15 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2018


Avv. Francesco Botta

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